Le Interviste di Allinfo.it : Gianluca Chiaradia

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(@CHIARADIAMUSICA)

Da “Seriamente ironico” a “Sogni al Microscopio” è passato appena un anno e Gianluca Chiaradia scatta una seconda, nuova, fotografia. Si affaccia su uno spaccato di vita  che sta fuori e dentro di sé  e parte dal bisogno di capire meglio se stesso per riuscire ad essere migliore con gli altri, oltre che artisticamente capace di far rispecchiare  questi ultimi nelle sue canzoni.
Lavoro semplice? Complicato? Chi può dirlo? Sicuramente “Sogni al microscopio” va ascoltato bene, tutto d’un fiato  e letto sul momento senza troppe dietrologie. Anche se mettendo a confronto i suoi due dischi,  se da una parte viene meno l’idea del concept album dall’altra esce fuori una costante comune ad ambedue. E’  legata al tempo.

Gianluca Chiaradia dopo circa un anno, a pochi giorni dall’uscita di “Sogni al Microscopio”  torna così a farsi intervistare dal nostro portale ed ecco cosa ne è venuto fuori.

Perché questo titolo?

Il titolo sintetizza quella che è la natura dei personaggi che lo abitano. E’ come se fossero idealmente posizionati su dei vetrini attraverso i quali è possibile osservare una mini terra tutta da capire. Dentro una serie di storie / canzoni   tra di loro collegate e il cui comun denominatore salta fuori ancora meglio se  si prova ad ascoltarle tutte di fila. Ti ritornano la sensazione che alla fine ci sia un unico personaggio alla ricerca di se stesso che non è detto che debba essere per forza io. Nel disco le storie raccontate sono dotate di propria autonomia e vivono e muoiono nel disco.

“Sogni al Microscopio” sembra ricollegarsi al precedente disco grazie al singolo  “Metodi” prima traccia dell’album E’ come se fosse venuto fuori quel tempo dal cassetto di cui parli in  “Come viene”  prima traccia  di “Seriamente ironico”?

L’osservazione è corretta. Le canzoni “Metodi”  e “Come viene ” pongono l’attenzione sul concetto del tempo e  tentano di aprire uno spiraglio di positività nelle persone che le ascoltano anche se in “Metodi” il sound è decisamente più cupo.

Quali sono le storie che ti hanno appassionato e sono entrate come sogno lucido in questo disco?

Quelle di cui mi nutro. Le storie apparse attraverso i libri letti, grazie ai film visti al  Cinema. Le canzoni risentono dell’influenza di tutte le storie che ho fatto mie durante la preparazione del disco anche se alcune canzoni nascono molto tempo prima e hanno subito una trasformazione e, quindi, un adattamento specifico  per questo secondo lavoro.  In “Sogni al microscopio” c’è anche la quotidianità visto che facendo l’ottico l’incontro con le persone è un ottimo spunto per viaggiare restando fermi.

A proposito di questo  “Lettera da Londra” l’hai scritta a Londra?

Assolutamente no e la ragazza di cui parlo neanche esiste. La canzone parla di un personaggio inventato e dà sfogo al mio bisogno di sdrammatizzare sulla marcata esterofilia che si è diffusa in Italia ed è spesso combattuta. Con questa canzone alla fine sostengo la tesi  che  occorra  immedesimarsi nelle altre realtà magari per realizzare ancora meglio, qualora ce ne fosse bisogno che la condizione che si vive è migliore di altre.

Ascoltando il disco la sensazione è che passato il primo groppo in gola, quello del primo disco che non ti fa dormire è che ci sia maggiore voglia di giocare, anche musicalmente?

In “Sogni al microscopio” c’era l’intento di slegarsi dalle dinamiche di “Seriamente ironico”  che era stato registrato anche con pochi strumenti a differenza di questo secondo disco che di strumenti ne ha tanti ed è stato anche  difficile  arrangiarli.

A volte gli artisti sono così bravi a costruirsi dei labirinti / canzoni intorno per nascondere i tanti piccoli sé. In questo disco in quale labirinto / canzone ti sei nascosto più di altri?

Quello delle parole perché i personaggi sono  lo specchio filtrato, distorto, a volte cannibalizzato del mio modo di sentire che non va preso troppo sul serio.

In questa ottica hai mai preso uno schiaffo per una canzone dedicata?

Direi di no. Schiaffo morale sì. Schiaffo fisico mai.

L’album nasce in maniera corale o in solitudine?

Nasce da una osservazione diretta, immediata, sobria e senza lo sforzo di voler scrivere una canzone a tutti i costi.

L’ultimo brano ritorna la sensazione che tu voglia mettere un punto lasciando uno spiraglio di ripartenza visto il tuo desiderio di tornare a guardarti dentro?

Io ho una idea di canzone epica e anche nel primo disco come ultima traccia avevo messo un brano un po’ triste ma sempre con la voglia di lasciar intravedere un barlume di luce attraverso la serratura dietro alla quale le mie storie si nascondono.

Hai mai pensato di scrivere per altri?

Di canzoni ne ho a “Garganelle” ma il problema è farsi conoscere. Ho provato e proverò ancora. Nonostante i canali siano pochi.

Al di là delle dinamiche quale voce sogni per i tuoi brani?

Poche voci. (Sembra emozionato. Si trattiene dal dire i nomi. Sorride)

Quanto ci ritroviamo dei Mumford and Sons e di Nick Cave in questo disco?

C’è un po’ di tutto e un po’  di niente perché c’è sempre il filtro del mio gusto. Di Nick mi piaceva rievocare una ballata un po’ triste  solo piano come quella finale mentre i primi Mumford li puoi ritrovare in quelle più acustiche come “Resto fermo” “Lettera da Londra”. A guardare bene ci sono anche i The National nella prima canzone ma sempre come atmosfere perché le tessiture musicali sono diverse.

Progetti futuri per questo disco?

Lo stiamo promuovendo e ci sarà modo di suonarlo già il 28 novembre al Radio Golden e poi altre presentazioni acustiche che spero mi permettano di uscire ancor di più dalla provincia di Treviso

E…

Viva la musica.

di Giovanni Pirri

 

 

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